il dj non ci parlerà.
Lunedì
È lunedì mattina mattina e per la radio siamo già un po’ troppo tristi per il reggaeton, per le scie chimiche, per i quiz sul bon ton. È lunedì mattina e il traffico ci trafigge le palpebre, ci disarma le orbite, ci incanta le vene. È lunedì mattina e senza quell’odore di caffè, di carta da zucchero, di poemi mai letti, di pop corn indecisi, ci risveglieremo in una mezza stagione, in un ascensore monocromatico, in direzioni opposte. Lunedì ci massacrerà l’ipocondria, ci indebiterà la settimana di cerniere troppo strette, di bagagli troppo larghi. Lunedì’ ci sentirà ansimare dalle periferie, piangere dai soliti meeting, leggere ad alta voce, i polpastrelli si dilateranno, le clessidre non si ricorderanno più del tempo che fa e da un borsone trascurato da troppi mesi della sabbia di agosto tornerà a farci visita per restituirci una preghiera e un po’ di sana gioventù. È ancora lunedì mattina e il dj della radio non ci parlerà, non ci rivolgerà parola, neanche lui sa dove saremo tra dieci anni ed è consapevole che le nostre occhiaie sanno già la verità, sanno già i risultati degli oroscopi, sanno già i precedenti, sanno già di eccitanti chimici a buon prezzo e di brioche alle visciole lasciate libere. È ancora lunedì mattina e abbiamo improvvisamente fame, abbiamo improvvisamente capito che non si può mentire ai numeri di scarpe, alle mani, ai polmoni, alle suore, ai suoni, alle voci, ai seni, al cuore, all’uva. In queste prime ore della settimana solo la pausa pranzo ci salverà, anche quando saremo troppo presi a chiederci dov’è che vanno a finire i taxi con la luce spenta e che cosa è giusto chiedere alla prossima stella cadente. Non sapremo la risposta, ma ci consolerà sapere che tanto a Milano le stelle cadenti non cadono mai.
Martedì
Che mondo sarebbe senza il martedì, senza le chat di gruppo, senza i postumi, senza le ore piccole. Che città sarebbe senza le bocche grandi, i pacchi chiusi, i parchi dei cani, i braccialetti sui polsi, le abbronzature fuori stagione, la paura di invecchiare, i dandy, le bande, la fibra, le cene in piedi, le corse seduti, i vicini di metro che non sanno più respirare. Che martedì sarebbe senza le vertigini, senza quella dissolvenza anni ottanta, senza i touch screen, i touch down, le metafore, senza la tua pelle duemila, senza le lezioni di scii, di padel, di chitarra, di cavalieri medi, di giocatori forti. Che inizio settimana sarebbe senza i capelli neri, senza gli orgasmi finti, senza gli elastici tenuti tra i denti, senza il pollo delivery, senza la pallavolo destinata solo alle ragazze alte, senza i gillet di pelle, senza il pallet a buon prezzo, senza le palle di seta, senza Apollo, senza le giacche usate, i paesi stranieri, i pensieri pesanti, l’alluce valgo. Che martedì sarebbe senza la musica, senza i biglietti aerei, senza le candele che non si spengono mai. Martedì è tutto e niente, anzi è tutto, è tutto chiaro, è tutto scuro, è tutto finito. Martedì è uno starnuto che non riesce a liberarsi, un visone fuori moda, una versione di latino, una visione limitata, un timido e caldo addio. D’altronde che vita sarebbe senza il martedì.
Mercoledì
Mercoledì’ scopriremo che per essere meno meteoropatici bisogna semplicemente cambiare la disposizione dei mobili, non vale farlo con una coperta, una pianta o con quelle tazze che non si usano mai, ma con dei mobili veri. Questo servirà a sentirsi meno in colpa, ma soprattutto in un ambiente completamente nuovo. Servirà a cambiare umore al rientro a casa, i risultati di una call o il contenuto di una nota audio sentita 2x. Mercoledì scopriremo tantissime cose, tutte inutili: scopriremo il segreto dell’uva Italia, i pesticidi, i fermenti lattici, l’acido lattico. Mercoledì scopriremo i mantra della democrazia cristiana e che l’amore non si trova quasi mai nelle scatole dei cereali, scopriremo che i disegni fatti con una bic durante una riunione sono molto utili a capire chi siamo veramente. E forse questo mercoledì saremo spaghetti spezzati, penne mignon, pensieri gentili, vicini di casa che non si conoscono mai o non si salutano più. Oggi ci sentiremo diversi e realizzeremo di non ricordare il nome del nostro ultimo innamoramento ma di conoscere benissimo l’albero genealogico della nostra prima cotta estiva. Il perché? Non è dato saperlo, forse è tutta colpa del mercoledì e del suo non prendere mai una posizione (è più vicino al weekend o al lunedì?), nonostante questo risulterà essere un giorno rivelatore ed altruista in grado di darci soluzioni pratiche per non farci deprimere dall’idea che al fine settimana mancano ancora quarantotto ore, 48, quattro otto, 4 otto.
Giovedì
Di che segno sei? Quante lingue parli? Come indossi le mani quando non le usi?
Giovedì è quella domanda a cui non saprai rispondere, è la denuncia al tuo stato emotivo troppo fragile, è il tuo stato di WhatsApp mai letto, forse neanche mai considerato, è una storia in evidenza limitata ad un pubblico ristretto, è il compito di matematica. Giovedì è un abbinamento strano, crème caramel e tonno in scatola, presine a forma di cuore e moke lente, risvegli assassini, sogni lubrificanti. Anzi no, giovedì è il sesto piano senza ascensore, è un liquore liquefatto, il terzo stato, la seconda repubblica, quell’emorragia emotiva che non sai dove ti porterà. Durante queste otto ore ha già cambiato vita più volte, fatto male il letto, mangiato uno yogurt senza leccare prima l’etichetta, usato un cucchiaino per sbaglio, sporcato di briciole i tuoi presentimenti, le tue previsioni e tutto quel che resta di un dating andato male. Giovedì’ sono previste giornate molto più lunghe di quelle che ricordavi, un sole che scalda solo chi non lo vive, una maratona di cortesie per gli ospiti su un letto a due piazze, un pigiama bucato e un piede che non sa più svegliarsi. Per questo giovedì ci coglierà impreparati e quando sarà troppo tardi per avere risposte il nostro sito di viaggi preferito ci darà l’unica certezza della nostra vita: partire è l’unica cosa che conta.
Venerdì
Ma chi se ne frega della buona educazione, delle calze di lana, degli sguardi non corrisposti. Ma chi se ne frega se ti chiami Luana, se ti nascondi, se non rispetti le strisce. È venerdì e anche se non aspettavi altro adesso non sai cosa fare. Bella sola eh? Perché aspettiamo così tante le cose che poi quando arrivano ci sembrano già vecchie, ci sembrano superflue, démodé, le gambe della Bertè. Per il resto della giornata le opzioni sono molteplici e questa illusione della primavere si fermerà dappertutto, si fermerà su di noi, sulle lenzuola, sulla carneficina che prospettiamo allo scoccare della mezzanotte. Sogni di gloria infranti culleranno le nostre nuove consapevolezze e ci spingeranno a scrivere una mail romantica a chi non se la merita. Maledetti venerdì tutti uguali, maledette matrioske, maledetti patriarchi, maledetti voi, maledetti noi.
Sabato
“Quante vocali contiene il tuo nome non me lo ricordo già, quante volte hai detto ciao, quante ore non sei stato qui.”
Sabato sarà una nota di demerito tra la nostra voglia di fare e quella di morire. Sarà una contraddizione che vede due fazioni differenti contrapporsi, da un lato avremo solo voglia di Ben & Jerry’s e di avvolgerci in un piumone in cerca di uno stato d’animo qualsiasi, di una bella foto da postare, di una festa a cui abbiamo detto no. Dall’altro invece avremo voglia di tacco 12, di hit parade, rossetti sbavati, uomini sbadati da riprendere con dei soddisfacenti e lunghissimi “Io te l’avevo detto”. Sabato di febbraio è un concetto ancora tutto da capire, da assimilare, da fare nostro, è quella caramella che ti dona il dentista e che ti fa chiedere: ma lo fa perché è buono o perché mi vuole rivedere tra un mese? Forse quel dentista è innamorato di noi, forse il camice verde ci dona, forse il sabato non è poi tutto sto granché. Così opteremo per una via di mezzo anarchica, gelato e tacco dodici, Santa Rosalia e Rolling Stones, opteremo per fissare un orizzonte invecchiato male, delle pale eoliche di una pubblicità, almeno fino a quando non arriveremo alla soluzione che effettivamente sabato altro non è che la via lattea sulla tua schiena, un apostrofo scritto male che decidiamo di ignorare. Sabato è invocare un dio che non conosci solo per piacere, è piacere e male alla testa, è hangover e ipofisi, è il David Letterman Show con un tocco di paillette, è schiuma da barba e un biglietto per le Fiji. Sabato è chi non ti aspettavi, è una serenata, è una serataccia.
Domenica
Evviva la domenica, sì, evviva la domenica. Evviva la rai, Pippo Baudo, Zia Mara, i giovani che vogliono fare i vecchi ed apprezzano senza se e senza ma i vecchi, tutti i tipi di vecchi, perché per loro sono tutti inesorabilmente saggi. Evviva chi dice vecchi e non si nasconde dietro la morale di anziano. Evviva chi dice “diversamente giovane” per sentirsi un po’ pazzo. Ma evviva anche i vecchi che vogliono fare i giovani e usano parole a caso in frasi completamente prive di senso per inserire forzatamente inglesismi che non capiranno: Boomer, catchy, awareness. Evviva i palinsesti, i palazzi, la politica corrotta, la divisa pulita, il servizio pubblico, i colpi di cannone, i tiri ai cannoni, i comunisti, le raccolte firme, le scritte romantiche sui muri, le date, le date importanti e tutti quelli che amano tatuarsele. Evviva le tovaglie a quadri, l’odore delle castagne, anche se ci fanno schifo, evviva. Evviva il tramonto domenicale, quello che arriva sempre prima, ma perché di domenica il sole cala così presto? Evviva i profumi commerciali, i centri commerciali, i baricentri, i bassi ventre, i centri e basta. Evviva le vasche, i piumini di Moncler, il cattivo gusto e le pellicce ruvide, quelle che irritano il collo e che solitamente vengono ereditate da quella zia anziana che hai visto tre volte e che puzzeranno per sempre. Evviva la puzza, evviva le perle, i gioielli d’oro, la bigiotteria, il contraffatto, il contraccolpo, il fuorigioco, le sconfitte umilianti, l’ostia, il mare pallido, la malinconia, ma esattamente che cosa è che vi spaventa della malinconia? Evviva. Evviva i battesimi, le cresime, le confessioni, le palme, le barzellette sporche, i baffi di tuo zio, i nodi grossi alla cravatta e chi le indossa colorate per sentirsi più cool, per sentirsi diverso, per sentirsi migliore, ma migliore da chi? Evviva la California, quella che le persone sognano di fare in moto anche se non la sanno guidare, ispirati al mattino dalle targhe dei bar: ROUTE 66. Evviva la benzina, i fiammiferi, Ligabue e chi si scontra dannandosi nel difendere e preferire Vasco. Evviva la retorica, i pullover stirati dalla mamma, l’ammorbidente, che poi ancora non abbiamo capito perché quello delle madri ha un odore così diverso, unico, candido, commovente. Evviva la monotonia, evviva il piattino delle offerte, e quindi evviva l’eucaristia, la povertà, gli slogan, l’estrema destra, evviva i bis, gli chic, le persone che definiscono altre persone come fini, evviva la panza piena fino a scoppiare, massì mangiamo ma che ce frega, alla faccia di chi ci vuole male. Evviva chi ci vuole male, ma poi esattamente chi sono questi soggetti che ci odiano così tanto? Evviva le amarezze, le amarene, le armature, le mazzette, il medioevo, la mediocrità, evviva gli applausi all’atterraggio. Evviva noi due, sì noi due, non te l’aspettavi? Evviva le scintille, le cotte, le scottature, gli zoccoli, le Crocs, i tirchi e chi risparmia sui sacchetti. Evviva la terra umida, le cacche dei cani non raccolte, i camini finti, le tette finte, i finti ricchi, i finti poveri, i figli di papà. Evviva chi sa sputare a lungo raggio e chi sa calciare una cicca appena sputata, evviva i falsi ipocriti, i falsi miti, i falsi storici. Evviva le campagne e chi dice che trasferirsi lì è la soluzione a tutti i guai. Evviva i guai, le tazze simpatiche, buongiornissimo, i pubblicitari, i mercedes metallizzati, i managerssss, i Ray-Ban a goccia, le sigle sulle porte, i vigili urbani. Evviva i club e tutti quelli che vogliono farne parte, evviva i dinner club, i Lions Clubs, la club house. Evviva le slot machine, gli slot delle call, il rumore del fuoco, i girocolli, i borselli, i borseggiatori, i calici vuoti, le palle piene. Evviva le pippe mentali, le pippe fisiche e chi si lamenta del proprio lavoro ma non lo cambia mai. Evviva chi non lavora e chi si incazzi nei confronti di chi non lo fa, evviva la rabbia, i sentimenti ostili, le tue parole gentili. Perché dopotutto per sopravvivere alla domenica e forse un po’ a tutte queste settimane, bisogna semplicemente illudersi che il mondo sia davvero un posto migliore, dove tutto fila esattamente liscio e quindi evviva le bugie, tutte, nessuna esclusa.